venerdì 31 agosto 2012

IL CANTO POPOLARE ALPINO FRA PASSATO E PRESENTE: INTERVISTA A RENATO MORELLI


Tu sei principalmente un musicologo e antropologo musicale: cosa può raccontarci di un popolo la sua musica?
Io mi sono occupato di antropologia visiva fin dagli anni ’70 quando con l’Università di Trento abbiamo avviato un progetto per documentare la cultura trentina, e fin da allora mi sono posto il problema, come musicologo, di contestualizzare le musiche tradizionali, cercando di riprendere in video le situazioni cerimoniali in cui la musica veniva eseguita. Quando io ho iniziato questo tipo di ricerche esisteva solo la pellicola, molto cara, e solo avviando una collaborazione con la RAI ho potuto avere fondi a sufficienza per poter procurarmi la pellicola. Attualmente i costi sono diminuiti notevolmente grazie alle nuove tecnologie e ora mi è possibile autoprodurre i documentari, come ad esempio il lavoro che presenterò a Tra le rocce e il cielo, “Tre giorni a Premana - Voci alte”.
Bisogna prima di tutto fare una premessa: quando si parla di canto popolare alpino si tende sempre a pensare ai cori sul tipo di quello della SAT, che per prima cosa sono un fenomeno relativamente recente essendo del 1926, e poi sono una modalità interpretativa dei canti popolari che hanno provocato una standardizzazione molto imponente degli stessi. In realtà il tipo di canto alpino della SAT è di origine popolare, ma i pezzi vengono musicati secondo le strutture e la formalizzazione della musica colta, spesso da autori di musica colta come Benedetti Michelangeli e altri. È stata una operazione senza dubbio meritoria, è stata chiamata il “conservatorio delle Alpi”. Il problema è che poi questo è stato universalmente considerato come il vero canto popolare alpino, e questo non è assolutamente vero. Ad esempio nella musica popolare precedente a questa standardizzazione non c’è alcuna differenziazione tra forte e piano (esiste solo il forte), e l’uso delle filarmoniche non esiste assolutamente, per cui la domanda principale che ci si deve porre è: come cantavano prima di questa standardizzazione?
Ormai sono rimaste pochissime isole dove rimangono intatte queste tradizioni antichissime. Una di queste isole è l’Altopiano di Asiago, che ho ripreso in un documentario precedente, e un’altra è proprio Premana, un paesetto in fondo alla Val Sassina dove si è conservata in modo sorprendente una tradizione di canti straordinari che non erano ancora mai stati documentati. Nel mio film ho cercato di documentare questi canti contestualizzandoli in alcune delle principali occasioni in cui vengono eseguiti. Ho scelto tre dei giorni più rappresentativi per questo tipo di canti, che sono i Tre Re, il Corpus Domini e il giorno della festa tradizionale del periodo dell’alpeggio, facendo le riprese nell’arco di un anno solare, con una troupe di fonici molto bravi, che sono riusciti a catturare perfettamente questo canto.
A Premana è sopravvissuto questo stile di canto che chiamano “tir” che è composto da una tessitura di voci alte al limite del grido, che è un canto che non si può definire polifonia, nel senso che non ci sono parti assegnate, ma è più una competizione canora. In paese sono quasi tutti artigiani del ferro e ogni famiglia rappresenta quindi una di queste botteghe di artigiani che, come sai, sono sempre in lotta fra loro e nel canto si travasa questa mentalità competitiva, pur in un contesto di grande solidarietà. Queste competizioni vengono tenute durante dei pasti collettivi rituali, tenuti negli alpeggi sopra Premana, che non sono come le nostre malghe, ma assomigliano più a paesi in miniatura (ce ne sono 12 in tutto nella zona), dove la gente inizia a cantare dopo aver mangiato, verso le due del pomeriggio, e va avanti fino alle 4 di notte. Sono canti che se li si sente si pensa “beh, adesso dureranno non più di mezz’ora poi saranno tutti senza voce” e invece più passa il tempo più le voci diventano alte e forti.
E questa tradizione risale a quando?
Questa tradizione è esistita in tutto l’arco alpino prima della standardizzazione degli anni ’20 del 900 e risale certamente al medioevo, ma non si può dire con precisione a quale secolo. È una tradizione orale, che come tale non ha un punto di inizio documentato precisamente.
Un’altra tradizione canora che ha resistito alla standardizzazione era quella di Mezzano di Primiero, dove anche in questo caso cantavano a squarciagola, forse anche più che a Premana. Si trattava di un rosario cantato in latino, anche questo organizzato in forma di competizione tra due cori di boscaioli, che si rispondevano da un versante vallivo all’altro. Quindi lascio immaginare quanto fossero forti delle voci che si dovevano sentire distintamente da un versante ad un altro di una valle. Purtroppo, essendo una tradizione legata ai boscaioli, lavoro ormai completamente scomparso in zona, è sparita con gli ultimi anziani della valle attorno agli anni ’80-’90 e che fortunatamente sono riuscito a documentare poco prima che si estinguesse.
Tra l’altro posso anticiparti che il progetto di collaborazione con i “Cantori di Vermei” che sarà presente al Festival riproporrà questo repertorio di canti tradizionali usando cantori trentini. Ho messo insieme un coro di cantori appassionati di canti antichi delle Alpi e gli ho insegnato tra le altre cose questo rosario dei boscaioli e il repertorio di Asiago.
Parliamo dell’altro progetto che presenterai al Festival, gli Ziganoff: perché hai scelto la musica klezmer?
Questo è un progetto che non centra nulla con quello di cui abbiamo parlato finora, ma è legato alla mia esperienza di musicista. Io avevo già suonato con un gruppo che faceva musica klezmer, legato però esclusivamente al Trentino e da due anni a questa parte ho fondato questo nuovo gruppo, gli Ziganoff Jazzmer Band. Cosa significa jazz-mer? È un genere a metà tra il jazz e il klezmer. Il klezmer è la musica popolare ebraica della diaspora askenazita, quindi del centro Europa, principalmente Germania e Polonia per arrivare fino in Russia, Ungheria e Romania. Si tratta di un distillato di tutte le tradizioni musicali dell’est europeo filtrato attraverso la sensibilità ebraica, ed è una musica strettamente imparentata con la musica zingara. Una delle poche professioni che potevano fare gli ebrei era quella del musicista, dove erano sempre in diretta concorrenza con gli zingari e quindi si è creata una sorta di simbiosi tra queste due correnti musicali. È una musica che è a cavallo di tre imperi, quello austro- ungarico, quello zarista e quello ottomano e che bene o male si è conservata fino ai giorni nostri, nonostante la tragedia della shoah.
Questo gruppo nato da poco prende il nome da un musicista, Mishka Ziganoff che era per me un personaggio straordinario: nato a Odessa alla fine dell’800, è stato un virtuoso di fisarmonica, secondo alcune fonti ebreo, secondo altre fonti zingaro. Sappiamo che fu di religione cristiana e di lingua Yiddish, che è la lingua degli ebrei askenaziti, che di base è tedesco, con prestiti russi, ungheresi e rumeni scritta con l’alfabeto ebraico. Questo Ziganoff è un miscuglio di etnie e culture fantastico che negli anni del primo ‘900 scappa dai pogrom zaristi e lo ritroviamo negli Stati Uniti nelle prime formazioni di jazz e nel ’19 incide un pezzo che ha lo stesso incipit di “Bella Ciao” anche se è un canto russo. Riscoprire questo personaggio mi ha dato l’opportunità di ritornare alle mie origini jazz che avevo accantonato da tempo a causa di altri impegni.
Il jazz è sempre stata considerata musica nera e poco si sa della componente e degli influssi ebraici. In realtà molti musicisti klezmer li ritroviamo nelle prime formazioni jazz, magari dopo aver cambiato cognome, e non si sa se sono ebrei o meno. Ad esempio pochi sanno che George Gershwin è in realtà un ebreo russo e che il suo vero nome era Jacob Gershowitz e come molti altri ha americanizzato il proprio nome. Il mio progetto musicale si propone di rimettere in comunicazione il klezmer e il jazz seguendo la via tzigane tracciata da Django Reinhardt, zingaro manuche che inventò uno stile di musica che, pur avendo solo due dita in una mano risulta ancora difficilmente eseguibile da un chitarrista con dieci dita. Con questo gruppo in pratica “klezmerizziamo” il jazz e “manuchizziamo” il klezmer.
I musicisti di questo gruppo sono tutti fantastici a partire dal chitarrista manuche, difficilissimo da trovare, e ancor più difficile che sappia fare klezmer, che è Manuel Randi, veramente strepitoso. Poi c’è Fiorenzo Zeni, vecchia conoscenza, sassofonista eccezionale e ci sono i giovani che sono tutti bravissimi come Christian Stanchina, Rossana Caldini violoncellista fantastica di Rovereto, poi al basso tuba Hannes Petermair anche lui molto bravo. Insomma è un gran gruppo e un progetto molto intrigante da presentare in Vallarsa.
E oltre a queste due iniziative presenterai qualcos’altro al Festival?
Sì, terrò anche un seminario di balli tradizionali trentini. Io suonerò la fisarmonica e Vincenzo Barba, il mio caro amico, insegnerà i passi. Nella mia ricerca musicologica mi sono spesso occupato anche di balli e ho accettato volentieri di organizzare questa iniziativa.
E progetti per il futuro?
Il 18 di settembre debutterò con un altro progetto, chiamato “TTT” che significa Trentino, Tirolo, Transilvania, che è un quartetto musicale composto da me e altri tre musicisti di cui se sommi la loro età ottieni la mia. Sono tutti giovanissimi, una è mia figlia, uno è un contrabbassista coetaneo di mia figlia e un flautista di Bolzano anche lui molto giovane e bravo, a cui spero di trasmettere al meglio le mie conoscenze e la mia esperienza. Debutteremo a Roncegno dove noi suoneremo e ci saranno dei ballerini non professionisti che eseguiranno balli trentini, tirolesi, ungheresi e anche klezmer, quindi non ci si annoierà di certo!
Poi a fine settembre sarò in Georgia, nel Caucaso, dove sono stato già in viaggio di nozze e dove c’è la tradizione di canto più importante al mondo, secondo me, che di recente è stata inclusa tra le tutele dell’UNESCO e dove terrò un convegno presentando il mio lavoro su Premana.
Per quanto riguarda i documentari vorrei fare un film sul circo, è un progetto che ho in testa da molto tempo e per il quale ho già fatto tutte le riprese e ho raccolto delle testimonianze straordinarie, devo solo trovare il tempo di montarlo. Mia moglie, poi, ha fatto un lavoro straordinario ricostruendo le linee genealogiche di 200 famiglie italiane che lavoravano nel circo quando ancora era alle origini. Purtroppo al momento non riesco proprio a trovare il tempo per realizzarlo!
Bene, grazie mille per il tuo tempo e ci vediamo presto in Vallarsa!
Ci vediamo in Vallarsa, a presto!

Riccardo Rella
riccardo_rella@yahoo.it

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