sabato 18 agosto 2012

LA STORIA SENZA FINE DELLA PRINCIPESSA DI GUNGTANG: INTERVISTA A MARIA ANTONIA SIRONI


Maria Antonia Sironi, porti al festival TRA LE ROCCE E IL CIELO l’ultimo tuo lavoro che è “La principessa di Gungtang”, ce ne vuoi parlare?
Prima di tutto è importante dire che la figlia mia e di Kurt Dimberger, Hildegard, fa la tibetologa a Cambridge. Nelle sue ricerche mia figlia è riuscita a trovare un manoscritto considerato perduto a proposito di questa principessa, Gyalmo vissuta nel XV secolo in una zona dell'Himalaya, figlia del re locale che si fa monaca anche per sfuggire alla prigione dorata in cui viveva e al matrimonio che le avevano combinato. Per poter scappare e andare in un monastero ad un certo punto si finge pazza. Lei alla fine fonderà una linea di reincarnazione di pari dignità e onore rispetto a quella del Dalai Lama. La sua dodicesima reincarnazione, ancora vivente, vive non lontano da Lhasa, e ho avuto modo di conoscerla. I tibetani ancora la venerano. La sua vita poi è avvincente perché è molto moderna, ad esempio lei insegnava alle monache a leggere e scrivere ed essere indipendenti. Il lavoro di Hilde è stato di tradurre il manoscritto dal tibetano all’inglese e di studiare le vicende di questo personaggio. Quando abbiamo letto la vicenda, però, ci siamo detti che fosse troppo bella per non essere diffusa anche come romanzo. A quel punto mi ci sono messa io, che avevo già avuto modo di scrivere sul Tibet, anche se non sempre in forma di romanzo, e Kurt Diemberger ha curato l'introduzione. Ha poi una parte anche una figlia di Hilde, che ha curato le illustrazioni.

Quando vi siete resi conto che quella era una storia che andava raccontata?
Il libro nasce dopo quattro anni di lavoro, il manoscritto e la traduzione sono la fine di un percorso di ricerca di Hilde di dieci anni. Insomma questo romanzo non nasce dalla sera alla mattina. In qualche modo sento di essere in compagnia con la principessa da quattro anni, come se fosse lei a spingermi a raccontare la sua storia, a portare il suo messaggio. Che poi, in fondo, è lo stesso di altre figure come Gesù, è sempre lo stesso, ed è l’amore per tutti gli esseri viventi. Forse mi illudo, ma è come se la principessa avesse voluto darmi un incarico, o forse me lo sono preso io. Anche per trovare un editore la strada non è stata semplice, non riuscivamo a trovarne uno che ci convincesse. A quel punto mi sono detta “Cara la mia principessa, se vuoi uscire datti da fare”, e così è spuntato fuori questo giovanotto, Andrea Gaddi, che è l’editore, che subito si è entusiasmato per questa storia, ed ora siamo qui.
Tu hai già avuto modo di scrivere del Tibet?
Sì, Hilde aveva già trovato e tradotto un altro manoscritto, da cui ho tratto una monografia, “La storia del cristallo bianco”, con le foto di Carlo Meazza e di Kurt Dimberger. Poi ho scritto “Tibet, l’altra metà del cielo” sulle donne tibetane, di cui ha curato l’introduzione Dacia Maraini e che ha vinto il premio Gambrinus nel 2003. Inoltre curo le traduzioni di alcuni libri di Kurt e ho tradotto libri per bambini e uno sul Dalai Lama.
Vuoi parlarci un po’ delle vicende di cui parla il libro?
La sua infanzia non è molto ben definita, si parla soprattutto di cose legate alla religione, quindi abbiamo ridotto quella parte per non fare un’agiografia. Abbiamo però recuperato una figura eccezionale che è l’assistente della principessa, e il libro lo abbiamo impostato facendo parlare, volta per volta, un personaggio diverso: inizia visto con gli occhi della contadinella, poi dalla principessa, poi ancora dalla contadinella che, a quel punto, è diventata assistente, per dare vari punti di vista diversi sulla stessa vicenda. Io la storia l’ambiento nel “mio” Tibet, cioè nei posti che ho visitato in questi anni, anche perché in zone così remote il tempo passa molto più lentamente, i cambiamenti si notano meno. La storia parte con la figura di, Zerin, un monaco che lavora al recupero dei testi tradizionali tibetani e che ritrova questo manoscritto, e da lì inizia tutta la vicenda. Solo che c’è un problema: al manoscritto originale manca la parte finale, quindi la storia rischia di rimanere sospesa. Così abbiamo fatto fare al monaco quello che Hilde ha fatto realmente nella sua ricerca sul campo: cercare testi dello stesso periodo che parlassero della principessa per integrare, aggiungere informazioni mancanti. Per esempio, rimane il grande mistero del teschio della principessa, che pare fosse utilizzato in alcuni riti della religione tibetana, e che è andato perduto. Il sottotitolo è “dall’antico Tibet, la storia senza fine”, ed è senza fine per tre motivi: perché manca la fine, perché la storia non è finita e perché la principessa si continua a reincarnare.

Questo personaggio ha tratti molto moderni, quasi contemporanei…
Lei era una femminista! Era stata data in sposa a un uomo che lei non sopportava, brutto, col gozzo e che venerava le vecchie divinità sanguinarie, mentre lei era buddhista. Così è riuscita a scappare fingendosi pazza e facendosi mettere in questo monastero. Essendo la figlia del Re, comunque, nel monastero ha avuto un po’ di libertà, così ha iniziato ad alfabetizzare le monache, ha insegnato loro ad essere indipendenti, ha addirittura attivato un progetto con delle canalizzazioni dell’acqua per coltivare l’orzo nei campi attorno al monastero. Siamo a 4000 metri di quota: quelle canalizzazioni ci sono ancora, le abbiamo ritrovate ripercorrendo i posti di cui parla il manoscritto, quindi la cosa non è inventata, ma il progetto non ha funzionato perché con tutta la modernità possibile l’orzo a quelle altezze non cresce. Un’altra cosa affascinante è che la principessa aveva lavorato anche per diffondere la stampa nella regione. Ovviamente non si parla di stampa a caratteri mobili, quella di Gutemberg, si parla di stampa con le matrici, ma è comunque stata una scelta di grande modernità. La cosa curiosa è che proprio il progetto di conservazione delle matrici di stampa è stato uno dei primi progetti che abbiamo attivato con la nostra associazione, ben prima di scoprire la figura della principessa e il suo ruolo in queste vicende.
Ma la modernità di questa figura, soprattutto riguardo al ruolo della donna, è rimasta nella cultura tibetana attuale?
Insomma, un po’ sì e un po’ no. Da una parte la donna in Tibet è la padrona di casa, quella che prende le decisioni importanti per la famiglia, ma a livello culturale non è allo stesso livello degli uomini. Spesso, ad esempio, le donne hanno un buon livello di alfabetizzazione sul tibetano, ma non lo sanno scrivere. Sul ruolo della donna, c’è da dirlo, probabilmente è stato più forte il messaggio di Mao, con l’idea che una donna fosse tale e quale ad un uomo.
Tu sei anche presidente di EcoHimal. Quando nasce questa associazione?
EcoHimal nasce sul campo a Katmandou, anche se la sede ufficiale era in Austria, con Hilde fra i fondatori. Ora EcoHimal Italia è diventata un’esperienza indipendente dalla sede austriaca. Prima abbiamo lavorato in Nepal, costruendo alcune scuole, poi siamo passati al Tibet, ora siamo tornati in Nepal perché abbiamo avuto problemi con le autorità cinesi. Seguiamo delle scuole, dei piccoli ospedali, alcuni monasteri femminili e così via. Ci finanziamo soltanto con donazioni private, non abbiamo grandi progetti, seguiamo le linee guida che aveva proposto il Dalai Lama negli anni ’90, cioè tanti piccoli progetti, che vanno subito al punto senza disperdersi nella burocrazia e, troppo spesso, nella corruzione. Siamo molto orgogliosi di un ospedale cha abbiamo fatto in Tibet, con un progetto partito dal gruppo di Trento, con Rolli Marchi, giornalista, che se ne è fatto carico. Era stato chiesto da un medico locale e c’è ancora, anche se, visto che EcoHimal se n’è andata da quei posti, ora è una struttura governativa. E’ intitolato a Fosco Maraini, padre di Dacia Maraini, tibetologo anche lui.
Dalla popolazione che vive dove intervenite che risposta vi arriva per i progetti?
Sono loro che chiedono interventi, noi non ci muoviamo di testa nostra, agiamo in risposta a quelle che sono le richieste della popolazione locale.
Rispetto agli sforzi, quali sono i risultati? Ci sono delle soddisfazioni o gli ostacoli sono troppo alti?
In Nepal le cose vanno molto bene, di recente abbiamo allacciato con l’acqua corrente una scuola. In Tibet c’è stato un giro di vite dopo le Olimpiadi, quindi ora non siamo più attivi nell’area.
Quali altri progetti avete in testa?
Ogni anno Regione Lombardia ci chiede le prospettive future quando dobbiamo depositare i bilanci e ogni volta diciamo “Dipende dalle donazioni!”. Noi agiamo sulla base delle donazioni, tutte private. Siamo attivi con quattro sedi, una in Italia, una in Svizzera, una in Austria e una in Inghilterra. Ma la nostra impostazione è di essere piccoli e “poco costosi”: gli unici costi che sosteniamo sono le connessioni internet e i computer, per il resto non si paga nemmeno l’affitto, perché le sedi sono le abitazioni private dei membri, e facciamo tutto per volontariato.
Parlaci un po’ di te.
Io ho studiato geologia, ma non l’ho mai fatta come mestiere. Ho fatto l’insegnante di matematica e scienze alle medie. Lavoravo soprattutto con i bambini disabili. Mi sarebbe sempre piaciuto fare ricerca ma non sono mai riuscita, quindi ho sempre supportato Hildegard in questa passione. Mi considero fortunata perché ho avuto modo, anche accompagnando Hilde, di fare un sacco di cose, fra cui vivere per alcuni anni a Katmandou perché Hilde doveva scrivere la tesi sui testi sacri.
Quando avete scoperto il Tibet?
Guarda, la passione viene soprattutto da Kurt, che ha fatto innamorare Hilde portandola su quelle montagne. Quando, l’anno dopo, ha dovuto scegliere cosa e dove studiare, ha scelto antropologia e tibetologia a Vienna. Una volta che si è innamorata del Tibet, però, ha coinvolto tutta la famiglia. Io ci sono caduta in pieno, e poi Kurt, che l’ha accompagnata in tutte le sue ricerche, fra cui anche il ritrovamento del manoscritto.
Ludovico Rella
ludovico_rella@yahoo.it

Maria Antonia Sironi, che gli amici chiamano Tona, presenterà il suo libro "La Principessa di Gungtang" a TRA LE ROCCE E IL CIELO giovedì 30 agosto alle 17 presso il Museo della Civiltà Contadina di Riva di Vallarsa.

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