sabato 25 agosto 2012

MONTAGNA COME FLUSSO, MONTAGNA COME LUOGO: RIPOPOLAMENTO ED ECOSOSTENIBILITA' SECONDO GIORGIO CONTI




Giorgio Conti, di che cosa si occupa, e come i suoi studi la portano ad avvicinarsi alla montagna?

Premetto che il mio curriculum di studi è in-disciplinato. I miei interessi culturali sono principalmente etico-filosofici, anche se ora insegno nel campo delle Scienze ambientali e del Governo dell’Ambiente, sono “indisciplinato” poiché le discipline “imbalsamano” il sapere.
Come sostiene Karl Popper: “Le discipline non esistono, esistono solo strumenti per risolvere problemi”. Prosegue affermando che: “Dai problemi nascono i valori”. Quindi non ci sono valori eterni.
Detto questo per me la montagna è al centro di una riflessione che riguarda tutto il territorio e l’ambiente nazionale, come viene gestito e quali progetti-strategie abbiamo. Per parlare dell'importanza del territorio non soltanto come luogo fisico, ma come ambiente dinamico dove si gioca il tema della sostenibilità integrata (economica, ambientale e socio-culturale), ho coniato un neologismo: paesaggi eco-culturali. Questo termine indica che c'è un'interazione dinamica fra tre ambienti fondamentali. Il primo è l'ecosistema: parafrasando Heidegger, ognuno di noi è gettato in un ambiente, che non ha inventato, ma che gli viene pre-disposto dalla Natura: l'ambiente ecosistemico. Il secondo ambiente è quello antropizzato, quindi gli insediamenti umani: gli ambienti popolati e modificati nel corso della storia dagli esseri umani. Questi due ambienti sono gli ambienti “materiali”.
C'è poi l'ambiente “immateriale”, di gran  lunga più importante, che è quello etico-socio-culturale. E' il più importante perché rispecchia l'idea relativa ai valori che si concretizzano nel paesaggio totale, da intendersi in senso fisiografico e fisiognomico. Prendiamo ad esempio Firenze, gli etruschi si erano insediati a Fiesole, dove il clima era migliore e non c'era il rischio delle esondazioni dell'Arno. Perché a un certo punto la popolazione si sposta da Fiesole a Firenze? Perché gli antichi romani avevano molto più interesse per i flussi che per i luoghi, infatti, per realizzare un impero hanno costruito centomila chilometri di strade, e quindi favorivano lo sviluppo urbano in pianura che garantiva velocità di spostamento.
Per rispondere alla domanda, da diversi anni le Terre alte sono al centro dei miei interessi, perché lo sviluppo montano tradizionale, a differenza di quello di pianura, privilegia il rapporto fra la montagna e il fondovalle, quindi un'interazione fra luoghi. In questa dinamica, la montagna non può e non deve diventare solo parco. Una montagna che diventa solo parco rischia l'abbandono, e i territori abbandonati producono gravi rischi, specie idrogeologici, così come é accaduto recentemente con i disastri in Veneto e nelle Cinque Terre.
Il problema più noto, riguardo alle criticità del governo del territorio in Italia, è la cementificazione: si valuta che l'Italia abbia perso negli ultimi anni un'estensione di territorio agricolo equivalente alla dimensione della regione Toscana. Il problema più complesso, anche se molto meno conosciuto perché non rientra nell'immaginario collettivo italiano, è l'abbandono del territorio montano con il conseguente avanzamento del bosco. E quando parlo di “bosco”, mi riferisco in realtà a una boscaglia, perché per formarsi una foresta strutturata ha bisogno di secoli. Qui ci si riferisce alla boscaglia “disorganizzata” che nel XX secolo è aumentata del 50%, sul 54% del territorio nazionale che è quello montano.

Nei suoi convegni parla di “società dei flussi” e “società dei luoghi”, ci vuole spiegare cosa intende?

Le relazioni tra luoghi e flussi sono fondamentali. Prendiamo il turismo. Oggi risulta la prima attività  produttiva delle economie avanzate occidentali, ma come fa a esserlo se è sostanzialmente tempo libero-tempo del non lavoro? Bisogna considerare che dal turismo “fordista”, cioè semplicemente le ferie estive, si è passati a un'altra concezione, che coinvolge tre tipi di flussi diversi: il flusso di merci, di persone, e infine il flusso di idee-informazioni che oggi è sostanzialmente rappresentato dal web.
Questo aumento vertiginoso dei flussi fa capire che stiamo seguendo una forma di società che richiama quella dell'Impero romano, anche se allora vi era uno stato di diritto diffuso su tutto il territorio che per i globalizzatori di oggi non è altrettanto rilevante.
Il turismo in tutto questo si inserisce riguardo alle problematiche dell'impronta ecologica, quel “segno” ecologico è l’impatto che si lascia nel compiere un'attività, nei consumi, negli  spostamenti, eccetera.
Una ricerca, promossa da Thompson (il primo tour operator del Regno Unito) e redatta dal WWF, ha mostrato che per andare a Cipro (una destinazione non tanto distante da Londra) un inglese ha un'impronta ecologica pari circa alla metà di quella di un intero anno. Quindi tutti noi viaggiando lasciamo un segno nell'ecosistema, soprattutto attraverso l'anidride carbonica che immettiamo nell'atmosfera muovendoci in aereo, auto o treno.
Questi sono gli scenari che suppongono in prospettiva il ritorno alla montagna, con le risorse rinnovabili che essa comporta, come i boschi e l'energia idroelettrica. L'energia derivante dall'acqua e dai boschi è pulita e rinnovabile ed è più “democratica” di altre fonti di energia, come il petrolio. Le altre fonti di energia hanno bisogno di grandi centrali di produzione dello Stato o di grandi gruppi privati. Le piccole centrali idroelettriche e la gestione dei boschi permettono una migliore distribuzione dell'energia. La montagna non egemonizzata dai parchi o dal turismo è un modello di riferimento.
Prendiamo i pastori transumanti: sono le persone più “ecosostenibili” in assoluto. Allevano le greggi portandole in montagna d'estate, dove c'è la maggior quantità di biomassa, e non possono consumare troppe risorse naturali perché sanno che l'anno dopo non troverebbero più nulla con cui nutrire i capi di bestiame. La stessa cosa vale quando vanno a svernare a valle. Hanno un'idea del mondo che è ciclica e non lineare, come quella che sta alla base della società dei flussi.
Il pastore transumante è il futuro, non il passato. Conosce la capacità dell'ecosistema di sopportare la presenza dell'uomo, in rapporto con la ciclicità delle stagioni, con i luoghi ma anche con i flussi, perché gli spostamenti ciclici possono essere lunghissimi. I pastori transumanti spagnoli, ad esempio, possono arrivare a fare un percorso lungo tutta la Spagna, di oltre seicento chilometri. La montagna non è un elemento nostalgico, io non vorrei tornare a un passato che, per quanto riguarda il pastore transumante, era un passato fatto di fatiche e isolamento. Io sostengo che si possa integrare questa attività con le nuove  tecnologie. Perché dobbiamo avere noi cittadini il SUV a quattro ruote motrici, che non ci serve? Il pastore dovrebbe avere il SUV con il GPS, per essere raggiunto quando sta male o ha un incidente e un servizio di elisoccorso per le emergenze. E’ in questo contesto che la rete assume un significato strategico in rapporto alla qualità della vita montana.

Quali possono essere le conseguenze, sulla montagna, di questa società dei flussi?

Prima di ogni cosa c'è l'iperturismo che rischia di distruggere la montagna. Ho avuto modo di seguire una tesi che si occupava di Cortina d’Ampezzo, che ha prodotto non solo una grande mole di indicatori ambientali ma anche economici e sociali, dimostrando l'insostenibilità di quel modello, e non solo dal lato ambientale. Un modello, soprattutto quello dello sci invernale, insostenibile sia sotto gli aspetti ambientali, sia per le componenti socio-economiche. Se la casa, per esemplificare, costa quattordicimila euro al metro quadro, perché il prezzo è “drogato” dal turismo, dei figli adulti che intendono costituire nuove famiglie, verosimilmente solo uno potrà rimanere a Cortina a vivere, gli altri dovranno trasferirsi. Inoltre Cortina soffre di quel fenomeno della riforestazione spontanea, che significa anche perdita di terreno agricolo e dissesto idrogeologico.
Siamo abituati a ritenere la montagna come “marginale” rispetto alla società nel suo complesso, ma la montagna nel medioevo e, in parte, fino alla rivoluzione industriale, era la zona “più ricca” d’Italia perché possedeva risorse strategiche. Con la rivoluzione industriale e l’era del petrolio, invece, è arrivata la tragedia dell’emigrazione, e dell’abbandono delle risorse rinnovabili montane.
Infine sono contrario, oltre a considerare la montagna come parco, anche alla montagna come rifugio: gli scritti molto interessanti di Leslie Stephen Woolf, padre della scrittrice Virginia Woolf, mostrano come già tempo fa ci fosse la consapevolezza di una mancanza di dialogo fra gli abitanti delle Alpi e gli alpinisti inglesi, che, paradossalmente, hanno fondato il primo Club alpino d’Europa: l’Alpine Club, il 22 dicembre 1857.
L. S. Woolf affermava che non c’era dialogo perché gli inglesi vedevano la montagna come: The Playground of Europe (1871) simile a un campo da cricket, mentre per i montanari erano pascoli e luoghi di lavoro e fatica.
Questo intendo quando affermo di essere contrario alle terre alte come rifugi alpini. Parco e rifugio si equivalgono, perché il neoromanticismo è quello che ha portato a “violare” luoghi incontaminati come le cime, le vette, come fu per la corsa a raggiungere la cima del Cervino in cui, con l'obiettivo di piantare per primi la bandiera del proprio Club, si sfidarono e morirono alpinisti italiani e inglesi.  Oggi si considerano “inviolate” e “inviolabili” zone di alta montagna che, invece, sono state antropizzate nei millenni.
Stesso ragionamento, infine, vale per la monumentalizzazione della natura, con la creazione dei primi parchi naturali nazionali, come quello di Yellowstone, avvenuta negli USA dopo la creazione degli Stati Uniti d’America, rendendo “protetti”, vale a dire inviolabili, dei luoghi che erano abitati da millenni dai nativi americani, relegati nelle “riserve”, prototipo dei moderni campi di concentramento.

Da questi problemi che denuncia rispetto alla montagna, quali vie di fuga ci sono, che spazio si può trovare oggi per la montagna? La montagna è condannata a essere considerata il “luogo” contrapposto al “flusso”, quindi come ostacolo?

Credo che parlare di montagna, darsi un progetto sul territorio montano, diventerà imprescindibile negli anni a venire, e questo per una serie di motivi. Primo, la montagna non può essere abbandonata perché se è lasciata a se stessa, produce disastri ecologici e idrogeologici. La Repubblica di Venezia era un modello, per prima adottò delle leggi fin dal Medioevo, che considerava la relazione fra le montagne bellunesi e i territori costieri: la montagna non veniva isolata ma era parte integrante di tutto il territorio veneto.
La montagna diventerà cruciale per quanto riguarda le risorse locali, e quindi soprattutto l’acqua. L’acqua dolce, la cui scarsità potrà diventare un problema cruciale, è di origine montana, come si evince dal cosiddetto “ciclo dell’acqua”, per cui l'acqua evapora dagli oceani e dai mari, si condensa e precipita come piogge o neve, soprattutto in ambienti montani. Da qui scende a valle o per vie superficiali (i corsi d’acqua) o sotterranee.
Per queste ragioni il bioregionalismo, l’idea del legame del territorio montano con l’ambiente costiero che ha nei bacini imbriferi il suo elemento strutturale, diventerà sempre più strategico.
Un'associazione internazionale di città, quella delle Transition Towns, si occupa della questione del petrolio, ma anche dei problemi della difesa del territorio e dei cambiamenti climatici, e qui torna in ballo il governo delle acque, che all'interno degli sconvolgimenti climatici, la cosiddetta tropicalizzazione del clima, porterà le conseguenze più gravi. L'acqua dolce, come abbiamo detto, è di origine esclusivamente montana.
Purtroppo quello che vedo e temo è che siano i “montanari” i primi a considerare la montagna un luogo che è destinato al declino e a non lottare per un ritorno alla sua centralità.
Il Governo austriaco sovvenziona molto efficacemente chi sceglie di vivere in alta montagna, perché si è reso conto che chi presidia quel territorio lavora per tutta la nazione, perché le conseguenze dell’abbandono della montagna si ripercuotono su Vienna, mentre dalla valle è molto più difficile che le conseguenze ambientali, frutto di decisioni errate, risalgano a monte.
La montagna non è solo un luogo per guardare il cielo, è inserita strutturalmente in una dinamica di flussi, che sono in particolare quelli eco sistemici e climatici. I corsi d’acqua scorrono verso il mare, quindi la montagna non è isolata, rappresenta un forte legame con la costa.
I problemi della montagna si inseriscono nelle criticità bioregionali del nostro modello di sviluppo. Per queste ragioni è necessario forse parlare meno di rifugi e più di malghe, riscoprire l’importanza di questi “eroi civili”: i veri montanari non turisticizzati. La montagna ha un ruolo, e anzi diventerà sempre più centrale, se la strategia che ci guiderà è quella che porrà al centro i paesaggi eco-culturali, per tornare al primo argomento, in questo modo la montagna non verrà considerata solo come un insieme di rocce o come un santuario naturale.
Ludovico Rella
ludovico_rella@yahoo.it

Giorgio Conti porterà il proprio contributo al convegno UOMO E MONTAGNA, PAESAGGI IN TRASFORMAZIONE, che si terrà in Vallarsa, nell'ambito della manifestazione TRA LE ROCCE E IL CIELO, venerdì 31 agosto 2012

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