mercoledì 9 luglio 2014

"La masseria delle allodole":un ritorno d'emozioni. Il racconto di Antonia Arslan

Quando è nata l’idea di scrivere “La masseria delle allodole” e come l’ha composto?
Più che un’idea è stato un ritorno di emozioni, di ricordi tramandati in famiglia, di un recupero di tutta la tematica e l’identità armena, attraverso i racconti di mio nonno e la traduzione delle poesie di Daniel Varujan. Mi sono immersa nella lettura di questo grande poeta per un anno e tutto è improvvisamente tornato presente, tutti i colori, gli odori, i suoni, le emozioni di questa patria perduta, come la raccontava il nonno, ed improvvisamente ho sentito la necessità di iniziare a scrivere. Di tirare fuori questo cumulo di dolore e di vita perduta.


Il luogo dove l’orrore si concretizza, la masseria, esiste realmente? Ha mai potuto andare a vederla?
No purtroppo, non sono mai andata a vedere quei luoghi. Con la cacciata e la morte degli armeni turchi, tutte le tracce di quella civiltà antica di 2500 anni sono state eliminate completamente. Tutto quello che avevano costruito, parlo delle magnifiche chiese, delle scuole, dei villaggi è stato cancellato. Anche la piccola città da cui proveniva mio nonno è stata distrutta e non ne rimane nulla.
Sono rimaste solo le chiese più grandi, o i piccoli insediamenti isolati, costruiti in territori troppo difficili da raggiungere si sono potuti preservare. Tutto il resto è stato coscientemente distrutto.

Pensa che andrà mai a vedere quei luoghi?
No, non credo. Io sono andata più volte in quella che ora è l’Armenia indipendente, quella piccola parte dell’antico territorio abitato dagli Armeni che si trovava durante la Prima Guerra Mondiale sotto gli Zar di Russia, l’Armenia montagnosa, che non è quella da cui noi proveniamo. Nei posti da dove proviene la mia famiglia non sono ancora andata, e credo che non andrò mai. Penso che questo mio rifiuto sia in gran parte dettato dalla memoria traumatica trasmessami dai racconti di mio nonno.

Nel libro la violenza scoppia improvvisa, lacerando la quotidianità lenta e tradizionale di quei luoghi. È stato davvero tutto così improvviso? Non ci sono state avvisaglie di quello che stava per succedere?
In realtà qualcuno capì. Come nel caso della Shoah ebraica, vi furono persone che compresero fino in fondo la situazione e capirono che fosse meglio andarsene, ma furono una minoranza. In fondo nessuno ha voglia di andarsene da casa propria, si tende sempre a sottovalutare l’entità di questo tipo di minacce. Era già successo altre volte alla comunità armena turca di vivere brevi periodi durante i quali alcuni venivano uccisi, altri espropriati dei loro averi, ma senza un piano preciso, un disegno; ed alla vigilia dell’inizio dell’eccidio armeno, molti credettero che si stesse per vivere un’altra di queste tempeste passeggere.
Gli armeni turchi, che abitavano quell’ampia zona di pianure che si estendono ad est del monte Ararat, il monte sacro della comunità Armena, erano in prevalenza contadini, e quindi legati alla terra ed ai suoi ritmi, e solo i più timorosi decisero di abbandonare i campi per andarsene.
Poi, bisogna ricordare che l’eccidio degli Armeni fu il primo sterminio di massa del XX° secolo. Nessuno poteva pensare che sarebbe successo qualcosa del genere. Esattamente come nel caso della Shoah, fu inoltre un eccidio compiuto senza bagni di sangue, ma con un progetto ed una programmazione scientifica, che limitò anche la risonanza delle notizie legate alle morti. Il governo dei Giovani Turchi, di stampo estremamente nazionalista, si prefiggeva nel suo programma l’eliminazione di tutte le minoranze etniche interne alla Turchia: Armeni principalmente, i Greci e gli Assiri, discendenti degli antichi Assiri.



Fu una prova generale della Shoah?
Esattamente. Bisogna ricordarsi che durante la Grande Guerra, la Germania era alleata della Turchia, e durante l’eccidio, vennero forniti ufficiali di raccordo tedeschi per gestire le operazioni di sfollamento. Tutti i metodi di sterminio usati in seguito dai nazisti sugli ebrei, vennero provati prima, magari con modalità più “artigianali”, dai Turchi nei confronti degli Armeni.
Hitler in persona disse la famosa frase: “Possiamo fare quello che vogliamo, chi si ricorda oggi del massacro degli Armeni?”



Lei è stata educata all’italiana in gioventù, e, almeno da quello che traspare nel libro, suo nonno per un lungo periodo cercò quasi di dissimulare le sue origini armene. Quando ha riscoperto la cultura armena?
In realtà non fu una rimozione, ma più che altro un oblio, l’abbandono delle tradizioni armene. Noi eravamo nati in Italia, mia madre era Italiana e sebbene avesse una grande simpatia per il parentado armeno, questo era sparso per tutto il mondo e venivano in visita raramente. Vivendo a Padova, capitava due volte all’anno all’incirca di avere contatti con la comunità Armena insediata fin dal ‘700 sull’isola di Lazzaro a Venezia, da allora chiamata San Lazzaro degli Armeni, ma più di questo non avevo reali contatti con le mie radici culturali.
Poi, piano piano, grazie alla mia curiosità per la cultura Armena ed ai racconti di mio nonno e mia zia Henriette, sopravvissuta al genocidio ed a cui è dedicato il libro, mi sono sempre maggiormente interessata alla grande ingiustizia del popolo Armeno, non solo cacciato dalla propria terra, espropriato di tutto e sterminato, ma anche dimenticato e negato dalle autorità Turche. Capii che potevo, anzi dovevo, raccontare quello che era accaduto.

Qual è lo stato attuale della comunità Armena in Italia?
La comunità Armena è composta da pochissime migliaia di persone, si parla di 2000, massimo 3000 persone, sparse in molte città diverse. Tutti gli Armeni che si rifugiarono in Italia dopo il genocidio, poi vennero mandati in Francia dove la comunità era molto più ampia ed i bambini potevano anche frequentare scuole armene e non perdere la conoscenza della lingua. Solo a Milano c’è una reale comunità coesa e organizzata attorno ad una piccola chiesa di culto Armeno e poi c’è la comunità dell’isola di San Lazzaro a Venezia e nient’altro.

A quasi cento anni dal genocidio, come sono attualmente i rapporti tra Armeni e Turchi?
I rapporti sono in piena evoluzione. Nelle scuole Turche il genocidio Armeno viene negato per legge, quindi le giovani generazioni crescono non potendo conoscere nulla di ciò che successe. Però la società civile, in particolare ad Istanbul ed Ankara è sempre più sofferente nei confronti di questo negazionismo cieco che conserva gli scheletri nell’armadio ma fa star male tutti. Molti, anzi tutti sanno quello che è successo, questo enorme buco nero che ha inghiottito un milione e mezzo di persone. Non è possibile non saperlo. Molti poi hanno una nonna Armena, una delle donne deportate che divennero poi membri di famiglie Turche. Sempre più professori universitari, poi, iniziano a parlare liberamente dell’argomento, dato che il sistema universitario Turco è quasi interamente privato e quindi non sottostante alla legislazione nazionale.
È quindi una situazione in rapida evoluzione e sempre più giovani Turchi sanno con esattezza quello che è successo, si scusano e si dispiacciono. D’altro canto, prima che questo movimento possa arrivare anche alle alte sfere del governo dovrà passare del tempo. Tuttavia, lo scorso 24 aprile, il giorno della memoria e del lutto per il popolo Armeno, il premier Erdogan, forse in previsione della propria candidatura a presidente della Repubblica, ha affermato in un comunicato ufficiale che il popolo Armeno “ha molto sofferto”. Non è ancora un’ammissione, ma è senza dubbio un passo avanti. 

Le comunità potranno mai riappacificarsi?
Io credo di sì. Scoprire qualcosa che è rimasto sepolto è come aprire il vaso di Pandora: una volta aperto diventa difficile richiuderlo e le comunità saranno sempre più obbligate a fare i conti con il passato e chiudere questa pagina dolorosa.

Grazie mille per l’intervista e non vedo l’ora di poter sentire il suo intervento durante il convegno  “Identità in bilico. Narrare il mondo con gli occhi delle etnie respinte”  che si terrà in Vallarsa il 22 agosto, giornata che “Tra le Rocce e il cielo” dedica alle lingue madri.
Grazie a lei e arrivederci al Festival.


Riccardo Rella
riccardo_rella@yahoo.it

Nessun commento:

Posta un commento