giovedì 13 agosto 2015

"L'urgenza della testimonianza" Intervista alla blogger siriana Asmae Dachan

Asmae Dachan è una giornalista professionista e scrittrice italo-siriana. Nasce ad Ancona nel 1976, è madre di Khalil e Nur. Direttore responsabile del mensile marchigiano ML – Mondo Lavoro, è autrice e fondatrice del blog Diario di Siria. Attivista per i diritti umani è impegnata da anni nel dialogo interreligioso.



Per prima cosa qual è la tua storia di vita?
Io sono nata in Italia da genitori siriani, entrambi di Aleppo. Mio padre venne qui quando aveva 18 anni per studiare medicina, e durante i suoi studi la situazione in Siria cambiò radicalmente dato che prese il potere il regime attuale e decise di rimanere in Italia. Io appunto sono nata qui e ho sempre vissuto in Italia. Ho fatto i miei studi nelle Marche, attualmente sono giornalista professionista e sono madre di due figli. Scrivo per passione da una vita e ho curato negli ultimi anni un blog sulla situazione attuale della Siria, che purtroppo non aggiorno da un po’ perché a ottobre ho subito un lutto familiare ed attualmente sto ancora cercando di ritrovare la serenità necessaria per tornare a scrivere. Purtroppo questo dolore privato si somma al dolore collettivo di una intera comunità nel vedere il paese delle proprie origini ridotto nelle condizioni in cui è adesso, ma conto di ritornare a lavorare al blog il prima possibile.

Che contatti hai con la Siria? Le informazioni che pubblicavi sul blog arrivavano di prima mano o venivano ricostruite a posteriori?
No le informazioni che ho pubblicato sul blog sono sempre state di prima mano. Nel 2011 quando sono iniziate le proteste anti- regime ho potuto conoscere molti attivisti che stavano contribuendo a dare una visione più chiara della situazione politica del paese, informando principalmente via internet su quello che succedeva durante le proteste, o su quelle che erano le contromisure adottate dal regime per rispondere alle prime avvisaglie di crisi. Questi attivisti hanno fornito fin da subito un quadro dettagliato di informazioni invece censurate dalla stampa di regime su quella che era la situazione politica città per città. Alcuni video realizzati da loro sono molto crudi, registrati in presa diretta da giornalisti improvvisati.
Un’altra fonte molto importante per le mie informazioni sono le associazioni umanitarie che lavorano sul posto. Tramite operatori e volontari queste organizzazioni riescono a tenere una almeno parziale conta dei morti e dei feriti.
In questi quattro anni ho conosciuto molti ragazzi e ragazze, e collaborato con loro. Apro anche una piccola parentesi, purtroppo molti di questi ragazzi che si sono spesi in prima persona per raccogliere e pubblicare informazioni o sono stati arrestati o sono stati arbitrariamente eliminati dal regime. Purtroppo se in Italia per fare giornalismo si deve studiare all’università e poi iscriversi ad un albo, in Siria per poter essere ufficialmente detto giornalista si deve essere iscritti al partito Baath. Tutta l’informazione è monopolio di Stato e quindi non esisteva una vera e propria informazione alternativa nel paese prima che venisse creata da questi giovani, principalmente attraverso il web.

Da quando hai iniziato ad occuparti della situazione siriana? Dall’inizio del conflitto o anche prima?
Ho iniziato a occuparmi di Siria dall’inizio delle proteste. Prima parlare della situazione del paese era quasi un argomento tabù, prima ancora che verso l’esterno, con i membri della comunità siriana. Io che prima della guerra non ero mai stata in Siria, avevo sempre avuto questa curiosità, questa sorta di affetto per il paese delle mie origini, ma sapevo che per via della situazione politica parlarne non era possibile o non era sicuro farlo. Parlare di politica siriana era una sorta di vaso di Pandora che bisognava stare attentissimi a non scoperchiare perché, come in tutti i paesi che hanno vissuto una dittatura, c’era sempre il rischio che la persona con cui si parlava di questi temi potesse poi riferire.
Quando sono iniziate le prime proteste, portate avanti principalmente dai giovani universitari, erano proteste gioiose, manifestazioni pacifiche ed i disordini sono iniziati solo mesi dopo. Erano ragazzi che chiedevano solo riforme e libertà, e sono stati un volano importantissimo per le comunità siriane all’estero, che si sono trovate a dirsi “se perfino in Siria la gente finalmente ha deciso di sollevarsi contro il regime, perché io non dovrei contribuire?”

Cos’è successo dopo questo primo momento di proteste pacifiche?
Da quel momento di proteste se vogliamo epiche, in cui perfino molti quadri dell’esercito regolare siriano avevano deciso di disertare per unirsi alle proteste della popolazione, per arrivare al momento attuale in cui non si sa nemmeno più quante e quali fazioni ci siano sul campo, più di un terzo del paese è completamente raso al suolo, in cui ci sono più di 9 milioni di sfollati interni e quattro milioni di profughi, sì, la situazione è completamente sfuggita dalle mani di chiunque. Le cause sono diverse, in parte si deve alla forza di un regime che dura da mezzo secolo ed è ancora dotato di molta presa e di forti alleanze che gli garantiscono l’arrivo costante di armi, in parte anche alla comunità internazionale che si è sempre rifiutata di imporre una no- fly zone e che non è riuscita ad aprire corridoi umanitari, in parte per ingerenze straniere.
La Siria ha il problema di essere un anello di congiunzione fra grandi potenze regionali, a livello di confini, quindi quello che succede in Siria ha dirette conseguenze su tutta una serie di paesi limitrofi, e questo è probabilmente uno dei motivi per cui la comunità internazionale è stata così cauta nell’intervenire nella situazione. Il risultato però è che ci troviamo davanti ad uno scenario che definire apocalittico è dire poco, perché da un lato i bombardamenti aerei del regime hanno distrutto città e siti archeologici millenari, e dall’altro ci sono i terroristi sanguinari di ISIS e chi sta in mezzo, cioè donne vecchi e bambini si trovano presi in mezzo tra queste due forze, in balia dei loro successi o insuccessi momentanei sul campo di battaglia.
È terribile vedere la Siria in queste condizioni anche perché è stata, ed è triste parlare al passato, un luogo di convivenza pacifica tra le diverse religioni. Oggi purtroppo i seminatori di odio stanno rendendo impossibile la convivenza religiosa ed etnica interna alla nazione.

Per un osservatore esterno del conflitto è molto difficile tracciare la situazione attuale. Dopo questa escalation delle violenze esiste ancora una fazione che meriti di essere appoggiata?
Così come è stato dato supporto ai combattenti curdi che sono riusciti a liberare la città di Kobane dalle mani dell’ISIS, si dovrebbe appoggiare quell’opposizione laica che fa capo all’Esercito Libero Siriano, cioè quel nucleo di soldati che si rifiutarono di reprimere le rivolte nel 2011 e che da allora lottano per rovesciare Assad, senza essersi mescolati alle fila dell’ISIS. Però attualmente è molto difficile individuare chi possa essere veramente degno di fiducia ed aiuto, dato che recentemente sono stati arruolati anche ragazzini e perfino bambini, anche tra le fila dell’Esercito Libero.
Quello che bisognerebbe fare è senza dubbio aiutare i siriani a liberarsi da un lato di un regime oppressivo e sanguinario come quello di Assad, e dall’altro dalle ingerenze straniere che continuano ad esserci, tra le quali la principale è l’ISIS, se non armata per lo meno strumentalizzata dalla Turchia, fra gli altri. Ovviamente, chi ha soprattutto bisogno di appoggio sono gli operatori umanitari sul territorio, le ONG che lavorano sull’emergenza umanitaria.
In sintesi, la comunità internazionale dovrebbe riprendere su scala nazionale quello che è stato fatto per Kobane, quindi non intervenire direttamente aumentando ulteriormente il numero di combattenti sul campo, ma dare sostegno reale ai siriani che stanno lottando per liberarsi di ingerenze pesantissime nella loro libertà, ingerenze sia esterne che interne.

Che prospettive di soluzione pacifica e costruttiva ci sono?
Se si continuerà solo a dare voce alle armi, le fazioni in lotta continueranno a distruggersi. La prima cosa che si dovrebbe fare sarebbe fermare tutto il flusso di armi dirette verso la Siria, perché senza un disarmo non ci potrà mai essere alcuna soluzione pacifica. Un altro passo che si dovrebbe fare è dare supporto reale, come ho detto, alle parti laiche e liberali della popolazione, cioè dare forza ad un soggetto nuovo, che possa superare il regime di Assad e contemporaneamente non lasciare spazi ai terroristi di ISIS. Va fatta una transizione che chiederà molto tempo e che probabilmente sarà molto difficile in cui nessuno degli attuali attori in lotta dovrà giocare un ruolo centrale. Creare uno spazio politico di discussione che serva a superare sia il passato che le difficoltà del presente. Ma senza disarmo questo purtroppo non sarà possibile.

Come sta reagendo la comunità siriana in Italia? Quali sono i sogni e le speranze di chi può solo assistere da fuori?
È una comunità che attualmente sta soffrendo molto, perché purtroppo non c’è nessuna famiglia che non abbia subito un lutto durante questa guerra. Tutti assistono soprattutto ad uno spettacolo inedito per un siriano che è quello degli sbarchi di profughi connazionali in Italia ed altri paesi. I siriani hanno sempre avuto una storia di accoglienza di profughi da altri conflitti: abbiamo accolto gli armeni in fuga dal genocidio turco, gli iracheni profughi durante le guerre, i curdi. Oggi invece, per la prima volta da moltissimo tempo siamo noi a dover lasciare la nostra terra per un conflitto che sta sconvolgendo la nostra patria.
Se prima della guerra la comunità era divisa tra i sostenitori del regime, taciti o entusiasti, e chi invece si opponeva e chiedeva riforme e libertà, ora le speranze ed i sogni di tutta la comunità sono rivolti verso una cessazione della guerra, tutti vogliono che lo spargimento di sangue si fermi.

Asmae sarà ospite del Festival “Tra le Rocce e il Cielo” il 21 agosto 2015, in occasione della giornata delle lingue madri, quest’anno dedicata alle migrazioni passate e presenti. Tra le mostre del Festival vi è anche la sua mostra fotografica sugli orrori del conflitto siriano.




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