domenica 24 luglio 2016

I flussi migratori non si interromperanno. Occorre dirlo.

Intervista a Riccardo Pennisi

Riccardo Pennisi è laureato in Studi Europei all’Università di Firenze, ed è analista di temi europei ed euro-mediterranei per Aspenia e Limes. Con lui parliamo dell’impatto che la recente crisi dei rifugiati sta avendo sull’Europa, le risposte fino a questo momento messe in campo, e le prospettive future che ci attendono. 


Quali sono secondo te le cause principali dell’aumento epocale dei migranti e richiedenti asilo? 

In primo luogo bisogna ricordare che le migrazioni sono un fenomeno umano che è sempre avvenuto, con numeri più o meno grandi, durante la storia. Detto questo, il numero di persone che si è messa in viaggio con l’ultima ondata è storicamente alto, e le cause sono principalmente due. La prima causa è l’aumento delle crisi che hanno causato lo spostamento dei profughi. La Siria e la Libia sono crisi molto recenti: l’instabilità e la guerra civile hanno causato un vero e proprio esodo da questi paesi. Ma non bisogna dimenticare altre crisi che, scoppiate tempo fa, sono state lasciate ad incancrenire e oggi contribuiscono al fenomeno dei profughi: se la Siria è il paese da cui provengono la maggior parte dei profughi e rifugiati oggi nel mondo, ma il secondo e il terzo paese sono, rispettivamente, Iraq e Afghanistan, con più di tre milioni ciascuno di rifugiati. La seconda causa è più legata all’Africa: la crescita economica relativa e demografica di alcune zone dell’Africa Occidentale, Centrale e del Corno d’Africa sono alla base di nuovi flussi di persone da quel continente. La Nigeria, ad esempio, ha gli stessi abitanti della Russia, ma su una superficie che è meno di un decimo. La crescita economica relativa non vuol dire che le persone stiano bene, ma che più famiglie possano risparmiare abbastanza per pagarsi il viaggio verso l’Europa. 


Che tipo di impatto hanno questi flussi sull’Europa, a tuo avviso? 

L’impatto è complesso, soprattutto per la mancanza politica degli stati di capire che questi flussi di persone non sono un’emergenza, ma qualcosa di strutturale. Non solo partiti populisti, nazionalisti e xenofobi, ma anche molto governi diffondono l’idea falsa che a un certo punto nel futuro prossimo le cause di instabilità finiranno e il flusso si interromperà. Ma né le guerre e i conflitti accennano a diminuire, né l’aumento demografico rallenterà, almeno nel breve periodo. L’impatto, quindi, è aggravato dal rimandare le soluzioni e dall’evitare di programmare l’accoglienza e l’integrazione. 


Nel dibattito c’è chi parla di pericolo di perdita di posti di lavoro da un lato, e dall’altro invece un vantaggio derivante dall’immigrazione perché, visto che stiamo invecchiando e non stiamo crescendo come popolazione europea, le migrazioni aiutano a mantenere una popolazione più giovane e in crescita. Qual è, secondo te, l’effetto complessivo? Positivo o negativo? 

Certamente entrambi i dati ci sono nei flussi migratori. Riguardo al mercato del lavoro, però, la competizione con la popolazione migrante non è il solo né il principale fattore di riduzione dei salari: la tendenza al taglio degli stipendi, al calo del potere d’acquisto era già presente prima delle ondate attuali e per motivi relativi ad altre ragioni, più di natura industriale che di migrazioni. Molti dei lavori a paga bassa o molto bassa sono già scomparsi con la crisi, e si sono salvati solo un po’ di lavori solo per persone formate. Questo potrebbe causare problemi in quanto i rifugiati potrebbero aver difficoltà nel trovare lavoro. Riguardo all’impatto positivo in termini demografici è vero, tanto è che, a torto o a ragione, molti hanno detto che l’accoglienza così aperta della Germania verso i rifugiati era dettata dall’esigenza di avere lavoratori che pagassero la pensione ai tedeschi nei prossimi decenni. L’Europa sta invecchiando, è vero, e in questo l’iniezione di gioventù portata dalle migrazioni può essere molto benefica. 


In quanto giornalista, seppur specialistico, cosa pensi del ruolo dei media nel creare una pubblica opinione sulle migrazioni? Qual è il livello del dibattito su questo tema? 

I mass media sicuramente non brillano per analisi, soprattutto la stampa quotidiana: si punta più sull’onda emotiva di specifici eventi e immagini, più che sul fare analisi sul fenomeno. Per esempio, quando venne pubblicata la foto del bambino siriano morto e ritrovato sulle spiagge greche, questo produsse una generalizzata simpatia nei confronti dei rifugiati e una maggiore predisposizione all’accoglienza. La Germania, ad esempio, ha usato quell’onda emotiva per annunciare il suo piano di accoglienza dei Siriani, e quando Croazia, Ungheria e Austria chiusero le rispettive frontiere lungo la rotta balcanica, che è il percorso che dalla Siria conduce all’Europa centrale attraverso Grecia, Serbia, Macedonia, Croazia, Ungheria e Austria, moltissimi austriaci e tedeschi – ma accade anche in Ungheria e in altri dei paesi menzionati - diedero spontaneamente una mano per l’accoglienza, nonostante la linea intransigente dei loro governi. Questo atteggiamento si è capovolto il 1 gennaio di quest’anno a Colonia, con immagini e resoconti di violenze e molestie su donne tedesche da parte di migranti. La stampa in quel caso non ha cavalcato completamente l’onda: mentre una parte dei mezzi di informazione ha apertamente sfruttato questo evento per fomentare un clima di insicurezza, molte testate hanno invece volutamente smorzato i toni. Nonostante questo, l’impatto dei fatti di Colonia hanno prodotto la fine dello spirito di accoglienza che prima si registrava in quasi tutta Europa, e una crescita dell’avversione nei confronti dei migranti. Uno dei paesi in cui i mezzi d’informazione sono stati più duramente contro l’immigrazione e per la chiusura è stato il Regno Unito, e questo è stato un fattore fondamentale nella scelta di uscire dall’Unione Europea. 


La Brexit è il punto finale di un clima più diffuso: molti stati vogliono ripristinare controlli e chiusure dei confini, ultimo in ordine cronologico il Brennero, e il Regno Unito mostra che si può addirittura scegliere di uscire dall’Unione pur di avere controllo (reale o apparente) sull’immigrazione. Questa tendenza ha un futuro? Verrà sconfitta, nel breve o medio periodo, o rischia di vincere? 

Questa ventata di nazionalismo sicuramente è la conseguenza, prima di tutto, della mancanza dell’Unione Europea di dare per se stessa una risposta soddisfacente su questo tema. Se il tema dell’immigrazione spesso risveglia, nel breve periodo, pulsioni di questo tipo, l’Unione si è mostrata incapace di essere all’altezza della sfida e quindi di fornire un’alternativa. In più, i paesi del centro ed est Europa come Austria, Ungheria ed altri sono paesi che non hanno mai ricevuto, nel passato recente, un flusso importante di immigrati: una riflessione sull’integrazione e sul multiculturalismo non c’è mai stata, quindi anche i politici locali pagherebbero un prezzo altissimo se, da soli, decidessero di fare integrazione. Per questo servirebbe un’Unione Europea capace di offrire supporto a politici che decidessero di prendere questa strada, e che offrisse un’alternativa per la gestione di questo fenomeno, ma al momento non c’è. 
In questo, il paese che ha ceduto meno alla retorica xenofoba, per il momento, è la Germania, e questo perché nella memoria collettiva è molto forte l’obbligo morale dell’accoglienza, derivato soprattutto dal fatto che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Germania si è drammaticamente ridotta in superficie, con milioni di profughi tedeschi provenienti da Polonia e Repubblica Ceca – dunque l’organizzazione e l’accoglienza dei rifugiati sono stati alla base della “rinascita” tedesca. Inoltre, le politiche di integrazione sono, in Germania, relativamente più efficaci che nel resto di Europa, e i partiti xenofobi hanno meno presa lì che altrove (anche se ci sono). Non voglio pensare cosa sarebbe successo se un milione di profughi, invece di arrivare in Germania, fosse arrivato in Francia dove la destra anti-immigrazione è già primo partito. 


In che condizioni è il meccanismo europeo di accoglienza? Fra hot spot, trasferimento dei rifugiati e accordo con la Turchia, stiamo andando nella direzione giusta? E lo sforzo è sufficiente? 

Il patto con la Turchia ha molte caratteristiche di un “patto col diavolo” perché regala a Erdoğan un potere enorme sull’Europa: gestendo in sostanza le frontiere europee, Erdoğan può aprire e chiudere i “rubinetti” degli arrivi, a seconda della propria convenienza del momento. Inoltre, le condizioni poste dall’Europa a Erdoğan sono sicuramente insufficienti per assicurare un trattamento umano dei profughi in quel paese. Il risultato, non trascurabile, che questo accordo ha prodotto è stato un allentamento della pressione sull’opinione pubblica del tema immigrazione: la firma dell’accordo è stata fatta alla vigilia delle elezioni regionali tedesche, ed è opinione abbastanza diffusa che il risultato dei partiti xenofobi sia stato più basso delle aspettative. Certamente è stata cancellata dai mass-media, per il momento, l’immagine di grandi masse di disperati che a piedi camminano verso le frontiere europee. Riguardo a hot spot e dislocazione dei profughi dai paesi di primo arrivo (Italia e Grecia) verso altri paesi dell’Unione, entrambe queste politiche sono, ad oggi, completamente insufficienti e non attuate. L’unica attività che funziona relativamente bene è il pattugliamento delle coste libiche e l’attività di cosiddetto “search and rescue”: ricerca e soccorso di imbarcazioni usate per trasportare migranti. 
In sostanza, le soluzioni adottate ad oggi sono troppo spesso un pannicello caldo, l’alternativa sarebbe una politica strutturale e integrata fra tutti gli Stati per gestire questo fenomeno. Ma questo richiede una forza politica e un accentramento delle decisioni che, ad oggi, per come è fatta l’Europa, appare impossibile. Per esempio, non si è stati nemmeno in grado, fino ad ora, di riformare efficacemente il cosiddetto Regolamento di Dublino, che è quello che disciplina l’accoglienza dei profughi. 


Che cosa pensi del futuro? Ci sono alternative in campo rispetto a questa impasse, o non sei molto ottimista? 

Innanzi tutto, bisognerebbe avere il coraggio di parlare chiaro ai cittadini, dicendo che questi flussi di persone non sono temporanei e non si fermeranno, ma sono strutturali e vanno gestiti. Poi, per costruire politiche più umane ed efficaci, servirebbe una reale politica estera europea su Turchia, Libia e Siria. E questo richiede un cambiamento delle istituzioni europee, di come la UE è pensata e costruita. Invece ora siamo sempre in balia non solo delle emergenze ma anche delle agende dei singoli leader europei; per fare un esempio, se la politica migratoria americana venisse lasciata in mano agli stati confinanti con il Messico (Texas, Arizona, Nevada ecc), le decisioni prese sarebbero certamente molto più intransigenti e “nazionaliste”, oltre che influenzate dalla politica locale. Ma è Washington che decide, e i risultati sono ben altri; Bruxelles questo lusso non ce l’ha.



Riccardo Pennisi parteciperà al convegno di TRA LE ROCCE E IL CIELO in programma il 20 agosto al Teatro di S.Anna: CONFINE O FRONTIERA? MONTAGNE MIGRANTI
Riace – Vallarsa. L’avvenire delle terre alte italiane e la sfida della costruzione di una società interculturale ed eco-etica. 
L'Europa fra Soglia e Limite
Andrea Anselmi: Crisi dei migranti: fra chiusura e accoglienza.
Raffaele Crocco: Crisi dei migranti: cause di un cambiamento strutturale.
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Ludovico Rella

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